sabato, novembre 27, 2010

dove ci siamo già visti? bevi qualcosa? becciamo?

Ultimamente quando vado in un posto con della musica ad alto volume capita che mi trovi a parlare con delle altre persone.
Il fatto che gli ambienti di aggregazione giovanile abbiano un volume che impedisce la comunicazione verbale dovrebbe dare da pensare a tutti quelli che non hanno ancora imboccato la via dello Scarabeo a livelli agonistici.

Se proprio si vuole è comunque possibile parlare.
C'è questa cosa fastidiosissima che l'uomo sia un animale sociale.
Il punto è che per riuscire a capire quello che mi viene detto finisco sempre per concentrarmi sul labiale.

La cosa mi conferisce una spiacevole aria da maniaco.
Questo mi fa pensare al fatto che il sistema sia controllato: non si parla ai maniaci ed agli sconosciuti, ogni sconosciuto è un potenziale maniaco; ogni maniaco viene disconosciuto, una volta riconosciuto come tale.

L'errore è mio: la conversazione accidentale è l'equivalente della sigaretta di quello che ha gli amici sempre in ritardo.

Annuisci e accenditene un' altra, bambola.

domenica, novembre 21, 2010

Capitolo 11) Spin Off

"Tu non ci crederai, ma ora sono assolutamente certo che quella macchina ci stia seguendo".
Deborah digrigna i denti ed emette un mugolio decisamente infastidito.
"E' la quinta volta che ne sei assolutamente certo, e poi puntualmente l'auto piena zeppa di cattivi in questione ci supera" - e, mentre mi sminuisce, ho la sensazione che parli solo perchè proprio non può esimersi dal farlo.

La portiera si apre e il mio piede sinistro tocca l'asfalto bollente : in quel contatto percepisco di essere già più vicino alla verità.
Io ho visto troppi film.
I miei pensieri viaggiano a ruota libera, e dal vortice esce un'immagine della mia vecchia vita : un uomo vecchissimo in doppiopetto e bombetta che, una mattina allo sportello delle poste, si era congedato da me in modo decisamente singolare : "E si ricordi giovine, più si sente puzza di sterco e più si è vicini alla verità".
Aveva appena pagato il canone Rai.

La California.
Deborah alterna momenti di profonda inquietudine ad altri di grande spensieratezza; in questo momento sta giocando a fare la diva del cinema, perchè "è il nome del posto che lo richiede", e rimane ferma in posa a fare smorfie, finchè io non fingo di farle una foto.
Non mi ha fatto altre domande durante il resto del tragitto, e questo mi è parso molto strano; se io venissi sequestrato dal mio ex-fidanzato, probabilmente mi sarei già buttato in corsa giù dalla Toyota Corolla. E avrei portato le sue sigarette con me.
Come se non bastasse, non sono folgorato da nessuna idea migliore di girare a vuoto nella piazza di questo assurdo paesino, e, proprio mentre credo che alla prossima finta foto potrei soffocare, vedo l'insegna che sto cercando.

Polpo di Genio - trattoria e wine bar (specialità marinare)

Entro marciando a passo deciso.
Il locale è piuttosto buio, sicchè i miei occhi impiegano qualche istante ad abituarsi alla nuova condizione; metto a fuoco gli avventori, e mi stupisco che ci sia qualcuno, considerando l'ora insolita per rinchiudersi in una trattoria sperduta nel mezzo della Toscana.
Ci sono solo il barista e un cliente, relegato nell'angolo più buio del locale, e solo parzialmente visibile; nessuno dei due mi rivolge parola, nonostante il mio ingresso affannato. Il barista è un ometto piccolo e insignificante, uno di quelli che nei film italiani di serie B farebbero i tassisti terroni trapiantati a Milano, che per sbarcare il lunario si improvvisano anche dog-sitter, o qualcosa di peggio. Ha i baffi, ma non la barba, ed è pelato come un melone lucente; ma, soprattutto, non ha affatto l'aria di sapere il fatto suo, caratteristica essenziale per essere un barista credibile.

Dell'altro uomo, invece, mi colpiscono gli occhi spenti, ed eppure visibili nella penombra causata da un grande tendone impolverato; il volto sembra severo ma sincero; è quello di un uomo che ha osservato svariate categorie di suoi simili mentire, e che dunque ha appreso alla perfezione questa nobile arte, ma che ha deliberatamente scelto di non usufruirne mai. Quasi mai.
La fermezza del braccio, indirizzato ma non disteso verso il bicchiere sul tavolo; la compostezza della mano, il controllo del proprio animo inquieto.
Forse, a giudicare dal mantello in cui pare avvolto e dalla diffidenza con cui lo osserva il barista, è lui stesso un forestiero.
"Le offro un altro giro, signor Merlo?" - il pelato sembrerebbe in giornata di buona, peccato dover essere proprio io a guastargli la festa.
Non mi faccio pregare.
"Servirà dopo da bere al signor Merlo; io sono qui per parlare con il signor Oscar, e se lei non lo conosce o se egli non si trova qui, le porgo le mie sincere scuse in anticipo".

Quello che accade dopo è una sequenza di eventi in rapida successione, ancora oggi poco lucidi nei miei ricordi, e tendenti a fondersi insieme, a causa dell'eccitazione da apprendista detective : il Melone Lucente che dapprima fissa impietrito il bancone e che poi scosta il tendone polveroso indicandomi un corridoio segreto - un corridoio segreto come nei film! - l'avventore che esce dal locale senza proferire parola, lasciando una scia di profumo di crisantemi; la mia totale noncuranza nei confronti di Deborah, non badando se fosse entrata anche lei nel locale o meno; la stralunata visione di Oscar, chiuso in una stanzetta in fondo al corridoio dei misteri.

Non ti fidare Sebastiano, possibile che per una volta una ciambella ti riesca con il buco?
Sta per accadere qualcosa di brutto.

sabato, novembre 20, 2010

limiti del protagonismo

Se tutti pisciassimo nella doccia risparmieremmo l'acqua dello sciacquone.
Se tutti pisciassimo nella doccia ognuno avrebbe il dubbio di pisciarsi in testa, ma la fiducia nella tecnologia è un altro discorso.
Se tutti pisciassimo nella doccia forse, forse, salveremmo il pianeta.
SE.
Se il pianeta avesse, effettivamente, bisogno di essere salvato.

Se tutti pagassimo il biglietto dell'autobus avremmo trasporti pubblici migliori.
Se tutti richiedessimo lo scontrino?
Se nessuno guardasse film scaricati o in streaming?
Se comprassimo la musica?
Mi sembra una bestemmia, mi sembra di negare un dato di fatto suggerendo di comprarla, mi sembra di avere il diritto di ascoltare la sana, libera, artistica musica rubata.

Io credo che la vita sociale sia per ipotesi un gran casino.
Matteo, intendo l'evangelista, ha scritto:
"Perché stai a guardare la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo?"
Già, perché?
Prendiamo la mafia. A me la mafia non ha mai fatto niente, nel senso che non sono mai stato minacciato personalmente nella mia integrità fisica, economica o sociale da un ente criminale organizzato.
Però sono contro la mafia.
Però sono anche contro chi piscia nelle docce e contro chi mi fa osservare che io sono un ladro.
Insomma, sono contro un sacco di cose tranne che contro me stesso.
Io ho ragione o meglio, la ragione, che io incarno, ha ragione.

Se vuoi salvare la terra, perché credi che vada salvata, pisciati addosso o nella doccia, fa lo stesso.
Se vuoi salvare il paese, perché credi che vada salvato, e credi che sia colpa solo dei politici, dei mafiosi e dei politici mafiosi allora paga il biglietto, le tasse, non guidare in stato di ebbrezza, non fare uso di sostanze dichiarate illegali, leggi le leggi e vivi secondo la via che la nostra società democratica ha eletto come via della ragione.
Se ti stanno sul cazzo gli scrittori che utilizzano le parole corsivate, non farti troppi scrupoli ad usarne.

Se credi che la colpa per qualunque cosa sia dei sopraelencati, o di altri, ma anche tua allora comincia a togliere la trave che è nel tuo occhio, e poi penseremo alle travi degli altri. Perché il giudizio per se stessi della propria coscienza è un giudizio puro, adimensionale e crudele. Che non fa distinzione per la grandezza della pagliuzza o della trave ma che identifica solo la responsabilità o la sua mancanza.

SE.

Se tutti pisciassimo nella doccia non è detto che il mondo, come non è detto che abbia bisogno di essere salvato, si salverebbe. Ma di sicuro qualcosa cambierebbe.
Ad esempio smetteremmo di coltivare gli asparagi.
Se qualcuno pisciasse nella doccia gli effetti ci sarebbero comunque, magari solo più lievi.
Se tu pisciassi nella doccia, per salvare la terra o per sbaglio, non credere che il tuo gesto si perda nel numero, perché di sicuro saranno in due a riconoscerne l'esistenza: te stesso e chi fa la doccia dopo.

Volevo tirare in ballo Saviano e Frank Serpico, ma non ci sono riuscito.
Siamo la generazione che ha reso ogni cosa sociale, che ha fatto diventare le discoteche divertenti con un fotografo (e risolvendo così anche la crisi dei fotografi introdotta dalle fotocamere) e la possibilità di riconoscersi per poter dire "io c'ero".
Abbiamo a disposizione una rete autoreferenziale del villaggio globale con i suoi scemi, appunto, del villaggio, ed ognuno può scrivere il poema epico di sé stesso, anche se non è un eroe.

Solieri ha detto che la gente va negli stadi solo per cantare Alba Chiara e Salieri fu apprezzato, al tempo, più di Mozart stesso.
Che cosa voglio dire?
Non lo so: forse che siamo i capitani di domani.

venerdì, novembre 12, 2010

Matteo si rivela

EDITIO EXTRAORDINARIA
-O&L Ora et labora magazine-

Assiso su una poltrona è intento a mangiare un caco; neanche mi nota quando entro nella hall della clinica di lusso nella quale si è sottoposto ad una pulizia del colon.

Eccolo li', il divo, assorto nei suoi sogni di gloria e di potenza; mi avevano avvertito che non sarebbe stato facile intervistarlo, nel viaggio mi ero gingillato sulla possibilità di essere trattato malamente, tale eventualità' prese la forma della certezza quando si accorse di me.

“Se è vero che il nostro corpo è il nostro ufficio anche lei dovrebbe sottoporsi ad uno di questi trattamenti”

Mi anticipa fin dalla prima battuta su quello che potrebbe essere disdicevole per la sua immagine. Una pulizia del colon, mi ha consigliato una pulizia del colon. Bastardo. E' evidente che vuole provocarmi; deve essere stata quella checca del suo agente a convincerlo a concedere un' intervista: ora lui non ne ha voglia, o vuole fare un dispetto al suo assistente per poi avere un pretesto per licenziarlo; o forse tutte e due le cose e qualcos altro certamente più abominevole e che ora mi sfugge.

Cari amici di “Ora et labora”, esistono molti modi di fare un intervista. Io ho sempre cercato di rivelare l' anima del mio interlocutore, anche se nera;
(a questo punto le vostre mutande dovrebbero essere già bagnate di quel liquido giallo col quale amate inumidire i bordi della tazza del gabinetto, la tavoletta e il pavimento circostante)
Chi non ha mai sentito dire che i cattivi sono più intriganti?
Cazzate.
Se vi capita di sentirlo dire ancora voi rispondete con un nome:

Matteo.

Se volete immaginare un colore per la sua anima pensate al vomito.

Avevo voglia di fuggire, ma quegli occhi, cari amici di Ora et labora, dovete credermi: hanno qualcosa di magnetico; mi sentivo il protagonista di cuore di tenebra, libro che voi purtroppo non avete letto perché messo all' indice, ma
eccolo lì, il mio Kurz, il suo mistero, la trama fitta della giungla, le teste mozzate, il sangue, il verso di un animale quando non te lo aspetti, proprio dietro di te, il brivido freddo lungo la schiena.
In quell' istante la vidi, amici di Ora et labora, la macchia nell' occhio, voi non crederete, il segno del maligno: nel medioevo per una cosa simile ti avrebbero ucciso. Desiderai di essere sbalzato da qualche buco nero o contingenza planetaria nel medioevo, come molti di voi, del resto, cari amici di Ora et labora.
Non dissi niente. Aspettai; gli occhi fissi nei suoi. Mi dava fastidio l' idea di vincolarmi a lui, sia pure per un tête à tête di un quarto d' ora; avevo paura per la mia anima, voi capite, cari amici di Ora et labora. Ma volevo vedere.

“Io adoro i cachi; su di essi ho una teoria ma se lei preferisce potrà considerarla una metafora: i cachi sono come le persone, succhi la parte dolce e sputi il resto...”

Immaginai Virgilio mentre scaglia la manciata di terra nelle fauci del Minotauro, cercai un pugno di terra e non lo trovai. Certe cose al Liceo non te le insegnano. Rimasi in silenzio.

“Sto parlando del caco, della sua passività indiscussa, della sua dolcezza che lo rende suo malgrado una preda prelibata... è una teoria. Sappia fin da ora che se non sarà di mio gradimento io non autorizzerò la sua intervista. Assaggia e sputa quello che non va giù, è la mia teoria”.

“Io dunque sarei un caco”, parlai senza pensare, e in effetti non c' era nulla di logico nella mia osservazione. Ma, cari amici di Ora et labora, in verità era proprio quello che voleva sentirmi dire; Matteo ha un suo modo per farti arrivare alle cose, non è logica, è influsso malefico, ispirazione nefasta.

“Se preferisce può considerarsi un altro tipo di frutto, a sua discrezione”

Continua a mangiare, truculento; ho sentito dire che fra le scimmie capita che vi sia qualche episodio di cannibalismo. Ci avevo pensato, si, ma prima di veder mangiare Matteo non avevo mai afferrato la vera essenza del cannibalismo, per dirla con le parole di Kurz morente, l' orrore... l' orrore... l' orrore...

“Dicevamo... (spocchioso)... ah certo i cachi, si...”

E' il momento di cominciare. Se state leggendo siete ancora in tempo per buttare il settimanale cattolico che avete fra le mani, vi mando la mia personale indulgenza. “Ha conosciuto solo cachi nella sua vita?” Il suo fastidio è palpabile, sta pensando a quel qualcosa di peggio.

“No, anche qualcosa di peggio”, sputa, il caco gli cola dalle labbra carnose; è barbuto quel tanto che basta per dare il via a delle disgustose coreografie. Cari amici di Ora et labora, se voi foste stati con me ora avreste molto più che il semplice sospetto che la scimmia SIA un nostro antenato.

“Che cosa trasforma il caco in qualcosa di peggio?”

“La debolezza, un male multiforme. Da essa derivano altruismo e ottimismo, se malauguratamente questi due figliano rischia di nascere uno spirito puro... l' altruismo, non c' è niente di più vile di un atto di altruismo... Ma, ora, lei mi ha fatto una domanda molto generale e giustamente pretenderà di avere una risposta generale... Direi la virtu', chiaro sintomo di superstizione; una regola di vita eccessivamente sopravvalutata”

“Anche lei ha paura”

“Si, temo il fallimento, temo che persone più stupide di me arrivino più in alto; questo è il mio credo, prenda appunti: non sperare nella vittoria ma fai in modo che gli altri non vincano.
Prenda Napoleone, sa cosa l' ha fregato, il fatto di voler vincere, se si fosse limitato a perseguire la sconfitta degli altri oggi noi parleremmo francese e avremmo periferie piene di negri”

“Scheletri nell' armadio?”

“Così ci perdiamo, il mio armadio è un cimitero. Pero' posso dirle un piccolo segreto che in qualche modo va ricollegato a quanto stavamo dicendo... posto su facebook le foto dei miei amici quando vengono brutti: far perdere gli altri, non vincere, è una regola di successo”

“Il suo motto...”
Si piega leggermente sulla poltrona. Ha finito il caco ma continua a tenere il cucchiaino in mano, lo muove ritmicamente, come un maestro d' orchestra, cerca l' ispirazione; inserisce il cucchiaino nella fogna, lo estrae, mostra l' arcata di denti superiore, forse sorride e finalmente parla. I suoi canini non sono particolarmente sviluppati.

“Barcamenarsi in questo mare magnum che è la vita ottenendo i massimi vantaggi col minimo dello sforzo... in fondo non siamo che vasi d' argilla... per la verità alcuni più furbi di altri... io non lavo i piatti, mi limito a sciacquarli...”

“Ma se qualcuno mangia in quei piatti rischia di avere un gran mal di pancia”

“Vede, di mal di pancia non è mai morto nessuno, io invece sento che di fatica potrei morire. Non sono un lavativo, per fatica io intendo: fare qualcosa che non mi dà vantaggio; ecco, io a fare una cosa che non mi da vantaggio ci potrei anche morire.” Esprimendo quest' ultimo concetto cambia tono di voce, più sottile e acuto; sembra il lamento frustrato di un sonnambulo. Si riprende e continua. “Mi considero un filosofo della vita, uno che ha metodo nelle cose e non perde tempo, il tempo è denaro, il denaro è successo. Ho sentito da qualche parte che il denaro è una bella ragazza. Che ti sta accanto una notte e te la devi godere finchè puoi... ma il denaro è molto di più, è potere, lusso, soddisfazione e anche una bella ragazza...”

“Lei è uno che dura?”

“Eh?”

“Le do un aiuto, a Vienna, qualche anno fa lei ha dichiarato: ora mi porto una troia in camera, in albergo, e ci do tutto il giorno”

“Ora ricordo, avevo circa dodici anni, da allora non si è mai lamentata nessuna”

“E con la ragazza di Vienna poi come è andata?”

“La pianti con questa fabbrica del fango”

“E' omosessuale?”

“Non l' ho ancora dichiarato”

“I tre oggetti a cui non potrebbe rinunciare”

“I post it sui quali annotare i miei crediti, anzi debiti degli altri suona meglio, la gazza al mattino, lo sopino per il cesso”

“Quante volte va in bagno in media?”

“Una volta al di', a volte bisso”

“Complimenti”

“Grazie ne vado molto fiero”

“e fa bene. Libro sul comodino?”

“La biografia di Lippi e sport week”

“Fotografie?”

“Io e Lippi alle Cinque Terre”

“Poster, calendari?”

“Megaposter del capitano, statuetta votiva del mister e un calendario di donne nude”

“Ah, avrei pensato che un calendario della juventus; sarebbe stato più nelle sue corde”

“Infatti quello di donne nude me l' hanno regalato”

lunedì, novembre 01, 2010

Capitolo 10) California Dreaming

"Io sono uno di quelli che non resta indifferente di fronte alle cose.
Sono uno che agisce, uno che agisce. Uno che nel bene o nel male fa il primo passo, spesso più lungo della gamba. Non sono un ignavo" - ripeto ad alta voce, ticchettando sul volante con la punta del pollice, e alla fine me ne convinco quasi.
"Meglio un ignavo di un bastardo. Oh, la mia testa..."
Deborah si è svegliata, buongiorno.

Ammetto che avrei invertito i ruoli volentieri, per aver potuto essere io ad addormentarmi nelle gelide brughiere friulane, e poi aprire gli occhi sotto il sole caldo della Toscana.
Un po' di mal di testa è sopportabile a fronte di questo piacevole risveglio; come passare all'improvviso dal bianco e nero alla tv a colori.
Da quanto non lasciavo Osoppo? Pur sforzandomi, non riesco a trovare risposta : una volta che mi sarò lasciato alle spalle questa storia, dovrò fermarmi a riflettere sul binario morto su cui è stata dirottata la mia vita. Magari scrivo pure un libro, una bella autobiografia.

"Ferma la macchina, o chiamo la polizia".
"Siamo già fermi Deb..."
"Non mi chiamare in quel modo! Io per te non sono più Deb nè Debby, e dopo ieri sera direi che sono anche meno, se possibile".
Seguono minuti di silenzio interminabili, la Toyota Corolla riposa a bordo strada, sotto l'ombra di quello che credo sia un platano; non lontano da noi scorgo il cartello marrone che annuncia Livorno.
Mi azzardo ad accendere la radio, ma questo la fa imbestialire.
"Ti rendi conto Sebastiano? - bello scandito SE BA STIA NO, è proprio arrabbiata - questo è sequestro di persona, io ti faccio arrestare; spegni quella cosa, mi hai anche colpita TI RENDI CONTO? Entro stasera avrò un bernoccolo così alto che non riuscirò più a stare seduta in questa auto del Pleistocene".
Una manata secca per spegnere l'autoradio.
Ah, il problema allora è il segno della terribile colluttazione di cui siamo stati protagonisti, chissà cosa diranno i clienti a vederti conciata così; magari chiederanno di essere affidati a qualche collega integra fisicamente.
Mi piacerebbe risponderle così a tono, invece che fornire la solita spiegazione razionale con un finto timbro rassicurante, che, a dirla tutta, non mi riesce neanche così bene.
"Stiamo andando a risolvere questa faccenda; intendo...la faccenda di Manuela, e forse anche di Belene. Ho una pista, e, anche se a dir la verità non è niente di più di un'intuizione, ormai devi fidarti di me, fino in fondo".
Accendo di nuovo la radio, riconosco i timbri scoppiettanti dei Beach Boys : bello.

"Non capisco, perchè mi hai portata con te?" mi chiede Deborah, con un insolito tono a metà tra il rassegnato e lo stravolto.
Ma io non so rispondere a questa domanda.
Perchè la realtà è che ieri notte ho agito di istinto, sotto i fumi residui della grappa, sicuro per un qualche oscuro motivo di avere bisogno di lei l'indomani mattina : ma la mattina sta finendo, e io non so che farmene della ragazza di nome Deborah che sta seduta in camicia da notte sui sedili posteriori della mia Toyota.
"Dobbiamo andare in un paese, e una volta lì cercare un posto con un nome particolare, forse si tratta di un locale".
Criptico al punto giusto. Ora mi dirà che non ho riposto alla sua domanda.
Le donne : ormai per me non hanno più segreti.
"Uff, e quale sarebbe questo nome?" - bofonchia mentre si lega i capelli.
E c'è ancora qualcuno che parla di sesso debole.

Strabuzzo gli occhi, ma le rispondo, stavolta senza fare il misterioso : "in realtà non lo so di preciso, però nel nome deve esserci la parola polpo. Ah, se vuoi, nel bagagliaio c'è una mia camicia e un paio di pantaloni, ovviamente da uomo".
Ma se resti in sottoveste va bene lo stesso, Deb.
"E il paese come si chiama? Vorrei almeno una sigaretta, non dirmi che hai smesso te ne prego".
Lei è decisamente più adatta di me al mestiere di investigatore privato, si capisce dallo spirito di adattamento ai cambiamenti repentini.
Mentre sfilo una sigaretta dal pacchetto morbido di Lucky Strike, e noto la sua smorfia di disgusto alla visione della marca, soddisfo la sua curiosità.
Sentito il nome e tirata la prima boccata, Deborah finalmente sorride, e io mi sento sollevato, ma come al solito non siamo sulla stessa lunghezza d'onda.
"Mi viene da ridere sai?" So, il nome è quello che è, ma è lì che dobbiamo andare.
La guardo senza dire nulla, sornione.
"Sono quattro anni che non fumo" - e mentre lo rivela, adesso Deborah ride di gusto.

La pausa è finita, la Corolla morde di nuovo l'asfalto.
Deb è seduta al mio fianco, addosso ha pantaloni e camicia del suo passato (remoto) fidanzato.
Superiamo Livorno, ormai manca poco : direzione Bibbona, località La California.
Sognando.

circumnavigazione della fine del mondo

Si faceva chiamare Doris, come sua madre.
Eppure a parlarci era lei, sepolta in piedi dentro la massa gelatinosa dell'alieno.
Sospesa pronunciava di tanto in tanto parole rassicuranti di spiegazione, esprimendosi come poteva, mentre fianco a fianco procedevamo per il lungo corridoio.
Cercando forse di spiegarci i complicati componenti della nave mentre vi passavamo accanto.

Sembrava molto difficile per l'alieno tradurre attraverso Gilda tutto quanto, come un ospite modesto, straniero e poverissimo. Dai pori sul bordo del suo mantello di peli gelatinosi si susseguivano lenti fischi simili a lamenti d'oboe. Persistenti come un profumo sonoro, sembravano l'espressione di uno sforzo simile all'ansimare di un cane o alla ventola di un calcolatore.
"Puoi smettere di illustrarci la nave, se ti costa fatica."
"Non è doloroso, solo complicato." Fu la risposta.

Ruth mi guardò attraverso la semitrasparente presenza di Doris: non aveva più pronunciato parola. Io e l'alieno avevamo tenuto in piedi la conversazione attraverso la traduzione incosciente di Gilda.
Era uno sguardo penetrante e freddo, che continuava a ricordarmi quello che aveva detto quando l'alieno ci aveva detto di chiamarlo come la madre di Gilda: Doris.
"Io non so come si chiamasse veramente sua madre. In effetti non so niente di lei. Dobbiamo leggere tra le righe. Il modo in cui si esprime nel linguaggio che conosciamo è attraverso ciò che Gilda sa. Ci sono troppi intermediari in una conversazione così. Non sono tranquilla."

Però eravamo saliti sulla nave. Perché Gilda era lì, partita e intrappolata come volontaria. In un alieno che si faceva chiamare come sua madre. La sua presumibilmente morta madre. La donna che l'aveva portata dentro di sé nove mesi terrestri. La sua incoscienza si bilanciava con la primitiva diffidenza di Ruth.
Aveva fatto bene a fidarsi così? A concedersi all'alieno?
Forse era solo una forma di predatore estremamente cortese, che intratteneva le sue vittime prima di divorarle. Un cattivo di serie B che spiega il suo piano prima di infliggere il colpo finale.

"Siamo arrivati"
Tranne il fatto che lievitasse nella gelatina turbinante di quell'essere non c'era niente di strano in Gilda. Teneva gli occhi apertissimi e sempre in movimento come suo solito. Disse:
"Ecco la pedana di comando:"
Fece una pausa, concentrandosi. Cercando con gli occhi verso l'alto le parole più giuste. Un concetto che si sarebbe perso tra corde vocali che non potevano pronunciarlo.
"salga solo chi è giusto."
E se chi fosse salito non fosse stato giusto? Sarebbe stato punito? O si trattava di un'espressione formulare, uno stereotipo, una password, un rito, un avviso altisonante, un "attenti al gradino" spaziale?

La frase evocò in noi il giudizio ed il terrore di essere giudicati. Secondo quale misura?
Il timone della nave era una bilancia?
Le nostre anime non sarebbero mai state pronte a qualunque interrogatorio: travisai ogni possibile significato e presi il comando delle stelle.