venerdì, ottobre 26, 2012

Arcobaleno in scala di grigi


Sono anni che sogno di fare un film, si può dire tutta la vita. Per la verità non si può dire che ci abbia mai veramente provato e questo, volendo, può essere interpretato a mio favore.
Tralasciando il perché fare film non essendo dei professionisti sia particolarmente difficile, eccomi scostare la pesante tenda rossa del NuovoFilmstudio.
Sorrido pensando alla faccia disgustata del mio amico Eduardo se gli dicessi che voglio inserire un luogo della nostra città come questo cinema in un racconto.
Prendo posto con calma, ragionando sulla possibilità che qualcuno più alto di me possa sedermisi di fronte.

Uno dei film che mi piacerebbe girare racconta di un tizio che vende case in una dimenticata valle montana, malamente deturpata da una bolla edilizia incoraggiata da una società di trasporti su gomma. Ammetto che questa parte sia piuttosto confusa, mentre cambio sedile a causa dell'arrivo di un inopportuna coppia di spilungoni, ma ho tutto il tempo di rivedere le ragioni della società autotrasporti, che ha un nome spiritoso che comunque capirei soltanto io. Vende una casa e dopo essersi scopato l'acquirente, questo gli racconta la sua vita. Si trova lì per cercare le tracce degli antichi e dimenticati abitanti della valle: un popolo che parlava una lingua studiata apposta per non essere comprensibile o imparabile da nessuno, quindi in continuo mutamento.

Passa il tempo, mentre la gente prende posto nella sala. L'acquirente intanto si svela come il diretto discendente di un monaco benedettino che aveva studiato gli indigeni, persuadendoli a suon di quattrini a rivelare le meccaniche imperiture della loro filosofia, basata sulla chiusura rispetto al mondo esterno.
Lo so che i monaci benedettini non dovrebbero avere figli ma lo scandalo ecclesiastico è di gran moda e poi non è questo il punto, sono tutte cose che si possono cambiare. Quello che conta è la trama.

La storia infatti è l'esemplificazione di come le ragioni più intime e nobili della comunicazione siano in realtà accessibili soltanto tramite la grettezza di un premio materiale come il denaro o il rispetto dei propri simili.
O il sesso, ed è qui che casca l'asino: si scopre, dopo un tormentato percorso interiore ma chiaramente visibile allo spettatore, che il protagonista venditore di case è proprio l'ultimo inconsapevole elemento di quel popolo dimenticato.

La compravendita si è dunque ripetuta proprio mentre il pronipote del monaco benedettino la spiegava per filo e per segno, girovagando allegro tra le valli montane: la terra è stata scambiata con la memoria, così come la memoria del popolo dimenticato era stata scambiata con vile denaro. La catarsi è quindi compiuta per le antiche vicende sommerse, che avevano condannato monaco ed indigeni a distruggersi a vicenda a causa degli estremi opposti di uno stesso bisogno, ma non per i due personaggi principali, insieme a cui lo spettatore ha seguito il dipanarsi della vicenda.

I due, inconsci della suddetta liberazione ma determinati a sancirla, si uccidono a vicenda dopo un ultimo amplesso. La vicenda crolla drammaticamente su se stessa, cercando di seppellire ogni cosa ed ogni vergogna.
Il che, purtroppo o per fortuna, è inutile. La storia, fatta film, è ormai nelle menti di chi l'ha seguita.
Scorrono i titoli di coda nel cinema della mia mente, si spengono le luci nel NuovoFilmstudio: il film di qualcun altro può iniziare.