domenica, luglio 29, 2012

tappeto blu

Dopo le prove, Linda volle a tutti i costi che andassi nel suo camerino. La sera dopo ci sarebbe stata la prima. Una data inusuale, specialmente per quella grande città, inabitata durante il caldo estivo. Mi presentai con le solite dodici rose ed un pacchetto avvolto in fogli di velina rosa.

- Magnifica Linda, superba! La gente parlerà di questo spettacolo per settimane.
- Alfredo, mio buon Alfredo - breve pausa dietro i motivi floreali del separé, mentre la immaginai togliersi i costumi di scena - tu esageri sempre.
Dopo aver messo le rose in un vaso, mi diressi verso i liquori. Non c'era molto: sono liquori invernali, da meditazione, messi pigramente a disposizione dal teatro. Comunque Linda non è mai stata una che beve.
- Oggi ho ricevuto ottime notizie cara, non immagini nemmeno chi si siederà in prima fila domani sera.
- Non lo immagino e non vorrei nemmeno farlo. Alfredo, ti secca se ti dico che di questo spettacolo potremmo anche smettere di parlare?
- Questo è il tuo regno, e tu ne sei regina: come desideri. A proposito maestà: un pegno per voi.

Posai il pacco sulla cassettiera, ben sapendo che Linda avrebbe aperto il regalo soltanto arrivata a casa, prima di mettersi a letto.Un messaggio mi avrebbe portato a conoscenza della sua reazione la mattina dopo.

- Preferisco smetterla di esagerare Alfredo caro. Parlarne continuamente fa parte dell'esagerazione. Se questo spettacolo passerà come passano i sogni al risveglio, sarò comunque contenta.
- Sei molto stanca, questi sono pensieri tristi che rischiano soltanto di farti dormire male.
- Non sono tristi. Il mio impegno per lo spettacolo non viene sminuito se ora parliamo del tempo o di qualche altro evento.
- Cos'ha un po di entusiasmo che non va?
- Niente; un po, niente.

Ricordai solo in quel momento che Linda aveva avuto un fratello, arruolato in marina e morto a Capo Matapan. Fu il fatto che non ne parlasse mai a sconvolgermi. Era un dettaglio minore, che aveva avuto un grande impatto su di me nel momento in cui l'avevo recepito e poi nulla più, come una cannonata mancata che tocca il ponte nemico solo attraverso l'acqua che solleva. Un turbinio salmastro di emozioni mi aveva lambito, diluito nel ricordo di un dolcissimo miele greco che alcuni amici lontani mi avevano fatto assaggiare durante la mia permanenza a Roma. Ecco, il nome del fratello di Linda era per me come il nome di una capitale: lontano, popolato da migliaia di anime che il nome, da solo, non avrebbe potuto esprimere. Vedi Parigi e poi muori.

Arrivai a casa ispirato, ma dopo un paio di righe mi fermai. Cercai ristoro nei miei freschi liquori tropicali, ma invano. La visita che Linda aveva voluto a tutti i costi sembrava non essere mai successa ed il mio incontro con lei aveva, a ripensarci, il sapore di qualcosa di completamente opposto ad un incontro. Come se avesse voluto vedermi per separarci. Riflettendo, le mie memorie passeggere erano il giusto compagno per simili incontri disgiuntivi. Non sognai o rifiutai di ricordarmene al risveglio.

martedì, luglio 17, 2012

Come se lontanamente volessi ricordare i titoli lunghissimi dei film di Lina Wertmüller

L'altra notte ho sognato un mare pieno di meduse. Oggi osservavo che sarebbe ben stupido, da parte di una medusa, se con tanto mare andasse a nuotare proprio dov'è sporco.

'Dimenticate una cosa alcalde...' borbotta il sergente Garcia, alzando un dito grasso. Ma cosa dico grasso? Il problema della nostra generazione è che abbiamo dimenticato tutto della modulazione. Non usiamo frazioni: un peso, una misura. Un dito grassoccio. Quello che viene alzato è un dito piuttosto grassocio e unto. Di patatine fritte condite con formaggio giallo e cipolle rosse. Che accostamento.

"...di mondo ce n'è uno solo!"
L'alcalde sogghigna mentre a voce alta mi scappa di dire: 'Cambiate canale?'
Tutti si girano verso di me e solo ora, solamente ora, noto le sbarre.
Che mi separano dall'alcalde, dal sergente Garcia, da tutti, da Bernardo. Buon Bernardo.

Non solo l'alcalde urla, tutti urlano: giustiziatelo. Con un guizzo esco dalla cella e salto giù dalla finestra, ma nella collutazione che precede la mia fuga aerea mi strappano mascherina e guance con pizzicotti infuocati. E' il tramonto oppure è il tramonto, ma ancora quello di ieri. Sono stanco. Corro, ma correre non basta: devo correre al mare. Di mondo ce n'è uno solo, ma questo nessuno se lo ricorda. Per questo tutte le manifestazioni più rarefatte delle emozioni si sono perdute? Perché le diluiamo in più spazio di quanto effettivamente ne esista? L'aria condizionata mi ferisce, ma è pur sempre meglio dei pizzicotti.

La mia mascherina. Dove vado senza mascherina? Stanotte se non trovo un buon hotel dormo sotto quel cactus, se solo fosse un cactus quell'albero di Joshua. Ma invece delle dune vedo delle onde: ecco il mare. E' di un blu amaro e senza riflessi, quasi turchese o viola.
Guardo più attentamente: il mare è viola di meduse.

martedì, luglio 03, 2012

il consenso al fine di riceverne


Il suo ultimo personaggio era partito con solide basi Brechtiane, dopo l'attenta lettura di una tesi di dottorato sulla Vita di Galileo. Un trattato che tirava in ballo addirittura i Queen, teorizzando un collegamento retroattivo tra Bohemian Rhapsody e la versione statunitense dell'opera.

Ma le modifiche, quelle stesse modifiche che avevano portato Brecht alla scrittura di tre versioni, lo avevano condotto lontano dal sentiero principale. Il personaggio era ringiovanito e si era ammutolito, arrivando ad aspettare il primo treno del mattino in una lontana stazione belga di cui era andato a cercare il nome sull'atlante.

L'atlante. Il ragazzo aspettava bovinamente la sua ora, cioè il treno, ascoltando la musica. Ma non era semplice musica da cuffie, dacché la semplicità gli era stata profetizzata come nemica mortale, bensì quella del circo. Posando il bicchiere d'acqua gassata a lato del computer tirai un lungo sospiro. Somatizzavo, e somatizzando nella lettura continuavo a ripensare a quel casinò di Las Vegas, il Cirucs Circus.

I miei stessi pensieri mi ferivano, mentre rispondevo seccamente alla mail che aveva portato sul mio schermo quel povero giovane e la sua stazione: ogni cosa trasudava una dottrina pedissequa e pallosa. Potevo quasi vederlo, sdraiato come un gigantesco bambino coccolato e deforme, sillabare i nomi pieni di consonanti di lontane stazioni del treno indicandole col dito.

Gli risposi elencando pazientemente solo le prime tre cose che secondo me andavano assolutamente cambiate. Spostai lo sguardo e guardai l'ora: le 21 e 53, c'era ancora tempo per una birra?
Decisi di no, ed andai subito a letto. Nella notte lo sognai: eravamo seduti in un bar a sorseggiare Cynar e all'improvviso diceva: ' i suoi film preferiti sono L'attimo fuggente e Arancia Meccanica'.

Quando mi svegliai, le parole mi rimbombavano ancora nelle orecchie. Non c'era più nessuna tesi su Brecht o la scrittura di un indigeribile post notturno che potessero restituirmi il sonno perduto: aspettai l'alba scaricando la lavastoviglie.